Il condono “tombale” della società

non preclude accertamenti sui soci

La soggettività tributaria dei percettori di dividendi, autonoma rispetto a quella della Srl, non consente di attribuire effetti automatici alla definizione fatta valere dalla compagine
vignetta con immagini di tombe
Nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, non esiste alcun rapporto di pregiudizialità/dipendenza tra l’accertamento nei confronti della società e quello a carico del socio: di conseguenza, è legittimo l’avviso di accertamento emesso nei confronti del socio (in conseguenza della presunzione di distribuzione degli utili occulti), quand’anche la società abbia aderito al condono “tombale”, i cui effetti preclusivi non si estendono ai soci, titolari di una posizione fiscale autonoma.
Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 386 dello scorso 13 gennaio, confermando sulla questione l’orientamento della giurisprudenza di legittimità.

La vicenda processuale
Un contribuente proponeva ricorso avverso un avviso di accertamento emesso in virtù della sua qualità di socio al 96% di una società a responsabilità limitata.
La Ctr, in riforma della sentenza di primo grado, annullava l’avviso di accertamento per mancanza del presupposto fondamentale, ovvero l’accertamento a carico della società, visto che alla verifica nei confronti di quest’ultima non era seguito alcun atto impositivo per avere la stessa aderito al condono “tombale” ai sensi dell’articolo 9 della legge 289/2002.
Con il successivo ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate denunciava, tra l’altro, violazione e falsa applicazione degli articoli 38 e 42 del Dpr 600/1973, nonché dell’articolo 9 della legge 289/2002, in quanto la Ctr aveva ritenuto impossibile l’emissione di un avviso di accertamento di un “reddito da partecipazione” senza un preventivo accertamento nei confronti della società.

La pronuncia
La Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, rinviando la controversia ad altra sezione della Ctr Lombardia.
I giudici di legittimità, dopo aver ricordato il costante orientamento giurisprudenziale che ormai ammette la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extra-bilancio prodotti da una società di capitali a ristretta base azionaria, precisa che tale presunzione “non viene meno in ipotesi di presentazione di domanda di condono da parte della società, essendo questa ed il socio titolari di posizioni fiscali distinte ed indipendenti” (cfr Cassazione n. 20851/2005).

L’assenza di pregiudizialità legittima, secondo la Corte, l’accertamento nei confronti del socio di società di capitali a ristretta partecipazione anche in caso di condono tombale della società i cui effetti preclusivi non si estendono ai soci.
Spetterà dunque a questi ultimi l’onere di superare la presunzione di distribuzione degli utili, contestando eventualmente anche “le risultanze della verifica e la rideterminazione del reddito della società effettuato dall’Ufficio”.

Osservazioni
In materia di società a ristretta base azionaria, la Cassazione ha più volte affermato che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria ovvero a base familiare, pur non sussistendo a differenza di una società di persone – una presunzione legale di distribuzione degli utili ai soci, non può considerarsi illogica – tenuto conto della complicità che normalmente avvince un gruppo così composto – la presunzione (semplice) di distribuzione degli utili extracontabili ai soci” (Cassazione n. 1906/2008).

Sempre secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, nella fattispecie in esame, “la prova della distribuzione, o no, degli utili … non potendo essere tratta dai criteri della normalità della gestione sociale (proprio perché l’utile occulto è un indice della situazione di anormalità della gestione rispetto agli esatti criteri determinati dalla legge), può ben darsi, nei casi indicati, mediante elementi presuntivi. Ne consegue, quindi, l’ammissibilità della prova presuntiva della distribuzione di utili sociali extrabilancio, secondo l’insegnamento di questa Corte … restando a carico dei soci, soprattutto se amministratori, la prova della destinazione di detti utili a finalità diversa dalla distribuzione” (Cassazione n. 10941/1992).

In altri termini, la ristretta compagine sociale fonda già da sé la presunzione semplice della distribuzione di utili non contabilizzati, salva la prova contraria a carico dello stesso socio. E ciò in quanto lo scarso numero dei soci “si converte nel dato qualitativo della maggiore conoscibilità degli affari societari e nell’onere per il socio di conoscere tali affari; il socio può però fornire la prova dei fatti impeditivi dell’attribuibilità...” (cfr Cassazione nn. 8473/2014 e 18032/2013).

Sotto il profilo dell’onere probatorio, la Corte di cassazione ha inoltre affermato la necessità che il contribuente, per vincere la presunzione, provi che gli utili presumibilmente distribuiti siano stati in realtà reinvestiti o accantonati, non risultando sufficiente “la mera deduzione del profilo per cui l’esercizio sociale ufficiale si fosse concluso eventualmente con perdite contabili” (cfr Cassazione nn. 16234/2010, 9130/2009 e 6197/2007).

Quanto alla possibilità che il condono proposto dalla società abbia effetto anche sulla posizione fiscale dei soci, la pronuncia in commento si adegua a un altro orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità.
Si ricorda, a tal proposito, l’ordinanza n. 10270/2011 con cui la suprema Corte ha ribadito il principio per cui, nelle società di capitali a ristretta base azionaria, la presunzione di attribuzione pro-quota ai soci degli utili extra-bilancio prodotti dalla società “non viene meno in ipotesi di presentazione di domanda integrativa di condono da parte della società, essendo questa ed il socio titolari di posizioni fiscali distinte e indipendenti”.

La Corte di cassazione, del resto, aveva già evidenziato, con la sentenza n. 7218/2001, come l’efficacia della dichiarazione integrativa, presentata dalla società ai sensi dell’articolo 57 della legge 413/1991, per la definizione dei rapporti giuridici pendenti, debba intendersi limitata alla sola società e non possa essere estesa ai soci poiché “la differente soggettività giuridica e la diversità del presupposto e della base impositiva dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche e di quella gravante sui dividendi non comportano, infatti, una unitarietà dei relativi accertamenti tributari …”.
Come logica conseguenza della diversa soggettività giuridica attribuita alla società di capitali e ai soci, i giudici di legittimità hanno escluso “l’ipotizzabilità di un automatico ed immediato riferimento ai soci delle rettifiche che alla dichiarazione presentata da una società di capitali possano avere apportato l’ufficio finanziario o la contribuente stessa” anche “nel caso in cui le variazioni (…) possano legittimare (…) la presunzione di una attribuzione ai soci di accertati utili extrabilancio” (cfr Cassazione n. 20851/2005).

A differenza del trattamento fiscale riservato ai redditi delle società di persone che porta a escludere in capo alle stesse finanche la soggettività tributaria, nel caso di società di capitali il sistema prevede a regime una doppia soggettività e quindi un’autonoma tassazione che si realizza sia in capo alla società sia in capo ai soci.
È evidente, pertanto, come la soggettività tributaria dei soci percettori di dividendi, autonoma rispetto a quella delle società di capitali, non consenta di attribuire effetti automatici alla definizione fatta valere dalla società.
Francesco Brandi
pubblicato Venerdì 22 Gennaio 2016

Accesso all'Area Riservata