Incassi del bar del circolo tassabili,

anche se frequentato solo dai soci


Ai fini della decommercializzazione, è irrilevante che la polizia municipale non abbia rinvenuto nel locale persone estranee al club in almeno una delle serate in cui ha fatto accesso.
Incassi del bar del circolo tassabili, |anche se frequentato solo dai soci
L’attività di gestione di un bar, con somministrazione di bevande e alimenti, all’interno dei locali di un circolo culturale ricreativo, effettuata verso pagamento di corrispettivi specifici ai soli associati, non rientra in alcun modo tra le finalità istituzionali dell’ente e deve, quindi, ritenersi attività di natura commerciale, i cui proventi sono soggetti a imposizione fiscale.
Questi, in sintesi, i principi che si ricavano dall’ordinanza della Corte di cassazione n. 15475 del 13 giugno 2018.

Il giudizio di merito
L’Agenzia delle entrate notificava un avviso di accertamento per il recupero dell’Irpef dovuta in seguito alla contestazione di un maggior reddito imputato a un contribuente per la partecipazione a una “società di fatto”.
In particolare, il maggior reddito veniva accertato nei confronti del socio fondatore di un circolo ricreativo dopo il disconoscimento della qualifica di ente “non commerciale” dello stesso circolo. Il disconoscimento era maturato in conseguenza dell’accertata prevalenza della gestione di un’attività di bar all’interno dei locali dell’associazione.

Il contribuente proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale e, in seguito alla pronuncia sfavorevole, presentava appello presso quella regionale.
La Ctr accoglieva la doglianza del contribuente.
In particolare, per i secondi giudici, la decadenza dalla qualità di “ente non commerciale” era esclusa principalmente per il fatto che la Polizia municipale non avesse rinvenuto nel locale terzi estranei all’associazione in almeno una delle serate in cui aveva effettuato l’accesso.

In virtù della soccombenza nel secondo grado del giudizio, l’Agenzia proponeva ricorso per cassazione.
Fra i diversi motivi di doglianza, veniva eccepita l’omessa valutazione di elementi di prova rilevabili dai verbali della Polizia municipale, in cui emergeva chiaramente che il circolo esercitasse principalmente l’attività di gestione di un bar. Quest’unica circostanza sarebbe stata sufficiente a escludere la non commercialità dell’ente, sebbene il servizio fosse stato rivolto esclusivamente nei confronti dei soci.

La pronuncia di legittimità
La Cassazione, con la pronuncia in commento, ha accolto il ricorso dell’Agenzia e rinviato ad altro giudice della Ctr per il riesame della controversia e la liquidazione delle spese di lite.
Il supremo collegio ha chiarito che l’attività di gestione di un bar ristoro da parte di un ente non lucrativo può essere qualificata come “non commerciale” ai fini dell’imposta sul valore aggiunto e di quella sui redditi soltanto se la suddetta attività sia da ritenere strumentale rispetto ai fini istituzionali dell’ente stesso e sia svolta solo in favore degli associati.
Nel caso di specie, l’attività di bar con somministrazione di bevande verso pagamento di corrispettivi specifici svolta da un circolo culturale, anche se effettuata ai propri associati, non può in alcun modo rientrare tra le finalità istituzionali del circolo e deve, dunque, ritenersi ai fini del trattamento tributario, attività di natura commerciale.
La sentenza impugnata ha dunque erroneamente ritenuto che, per la qualificazione dell’attività “non commerciale”, fosse sufficiente accertare l’esclusione di terzi tra i soggetti potenzialmente destinatari dell’attività di bar nel circolo.

Osservazioni
Con la pronuncia in esame, la Cassazione, rimanendo nel solco già tracciato da precedenti pronunce di legittimità (cfr nn. 21406/2012, 25463/2008, 22533/2007 e 15191/2006), stabilisce che l’attività di gestione di un bar in un circolo ricreativo e culturale non può essere ritenuta non commerciale con conseguente detassazione.
Con riferimento agli enti associativi, l’articolo 148 del Tuir stabilisce la regola generale per cui le somme erogate esclusivamente per la partecipazione alla vita associativa sono da considerare “decommercializzate” (“decommercializzazione generale”).
Al contrario, sono da considerarsi attività commerciali le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rivolte agli associati e rese verso il pagamento di un corrispettivo o di uno specifico contributo supplementare.

La commercialità delle operazioni è, dunque, ravvisabile nel rapporto sinallagmatico che si instaura tra la prestazione fornita dall’associazione e la controprestazione resa dall’associato che, in cambio, versa uno specifico corrispettivo.
Tuttavia queste ultime operazioni, pur essendo per loro natura commerciali, sono “attratte” nell’alveo della non commercialità qualora si verifichino le seguenti condizioni:
a) siano da ritenersi affini e strumentali rispetto ai fini istituzionali dell’associazione
b) siano svolte esclusivamente in favore degli associati.
Se manca una sola di queste condizioni, l’attività non potrà che essere qualificata come commerciale (“decommercializzazione speciale”).

Con riferimento al caso esaminato, l’esercizio di un bar difetta del requisito sub a), in quanto la prestazione, seppure rivolta nei confronti dei soli associati del circolo, non può essere messa in alcun modo in stretta connessione con le finalità, in genere di promozione sociale e/o culturale, perseguite dall’ente no profit.
Stefano Scorcia

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