CONTRATTI DI LAVORO - ARCHIVIO

Tempo determinato
Apprendistato
Somministrazione di lavoro
Tempo parziale part-time
Lavoro intermittente o a chiamata
Lavoro a progetto
Partita IVA
Lavoro accessorio
Tirocinio formativo e stage
Contratto di arruolamento
Distacco del lavoratore
Contratto di rete



CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO

Il contratto a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato, nel quale esiste un tempo ben preciso di durata del contratto con una data che indica la fine del rapporto.
L’apposizione del termine, a pena di nullità, deve risultare dall’atto scritto, direttamente (data, evento) o indirettamente dal contesto complessivo dell’atto medesimo.
Nel nostro ordinamento, il rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di un datore di lavoro, trova la sua forma comune nel contratto a tempo indeterminato, cioè in un contratto che non prevede l’indicazione di una data di conclusione del rapporto, determinando un miglioramento della qualità della vita, anche psicologica, e di stabilità economica dei lavoratori.
Quale è il vantaggio che offre, invece, un contratto di lavoro a tempo determinato? Sicuramente, tale tipologia contrattuale risponde, in determinate circostanze, sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori in maniera più efficace rispetto ad un contratto a tempo indeterminato. Inserito in un contesto in cui è possibile una partecipazione continua al mercato del lavoro e con la percezione di un reddito adeguato, il lavoratore può così pianificare la propria vita.
Con questa finalità si sono susseguiti, nel corso degli anni, diversi interventi sulla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato. Da ultimo, il Decreto Legislativo 81/2015 contiene la nuova disciplina normativa recependo le novità introdotte dalla Legge n. 78/2014, di conversione del Decreto Legge n. 34/2014.
Una novità di primo piano è quella dell’eliminazione dell’obbligo di specificare la causale, vale a dire la motivazione che giustifica l’apposizione del termine: il datore di lavoro, in virtù della nuova disciplina legislativa, non deve più indicare le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che lo hanno indotto ad utilizzare la forma contrattuale a tempo determinato. 

Si parla, quindi, di contratto a termine acausale, che può essere concluso tra un datore di lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a termine sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato.
Il contratto a termine acausale non può avere una durata superiore a trentasei mesi ed è prorogabile, con il consenso del lavoratore e nei limiti della durata massima prevista (36 mesi), fino a un massimo di cinque volte, indipendentemente dal numero dei rinnovi. 
La proroga, per la quale è necessaria la forma scritta, è ammessa a condizione che si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto a tempo determinato è stato stipulato, senza l’onere, a carico del datore di lavoro, di fornire la prova della causale che giustifica la prosecuzione del rapporto.
Se dopo la scadenza del termine originario o validamente prorogato o dopo il periodo di durata massima complessiva di 36 mesi, il lavoro prosegue di fatto:

per 30 giorni (se il contratto ha una durata inferiore a 6 mesi);
per 50 giorni (se il contratto ha una durata maggiore di 6 mesi).

Il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione retributiva per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al decimo giorno successivo, al 40% per ciascun giorno ulteriore.
Cosa succede se, invece, il rapporto di lavoro oltrepassa questo breve periodo “cuscinetto” di 30 o 50 giorni?
Il contratto si considera trasformato da tempo determinato a tempo indeterminato a far data da tale sconfinamento. 
Per non cadere nel regime sanzionatorio del contratto a termine, è necessario, inoltre, che trascorra un lasso di tempo tra il primo e il secondo contratto a termine, stipulato tra le stesse parti contrattuali:

intervallo di 10 giorni se la durata del primo contratto è inferiore ai 6 mesi;
intervallo di 20 giorni se la durata del primo contratto è superiore ai 6 mesi.

Anche il mancato rispetto di queste interruzioni temporali determina la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.
Raggiunti i 36 mesi cumulativi di tutti i periodi di lavoro a termine, compresi eventuali periodi di lavoro svolti in somministrazione, aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale il datore di lavoro ed il lavoratore possono decidere di stipulare un ulteriore rapporto di lavoro a termine per una durata massima di 12 mesi.
Tale nuovo contratto di lavoro dovrà però essere sottoscritto in regime di “deroga assistita” presso la Direzione territoriale competente. 
A ciascun datore di lavoro è consentito stipulare un numero complessivo di contratti a tempo determinato che non può eccedere il 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione, con un arrotondamento del decimale all’unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5; per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti è in ogni caso possibile stipulare almeno un contratto di lavoro a tempo determinato. I contratti collettivi, anche territoriali e aziendali, hanno, comunque, la facoltà di individuare limiti quantitativi diversi per il ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato.
Per le ipotesi di violazione del limite percentuale, si stabilisce soltanto una sanzione amministrativa – e non la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato a carico del datore di lavoro pari:

al  20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, qualora la violazione si riferisca ad un solo lavoratore assunto in eccedenza al predetto limite;
al 50% della retribuzione, qualora la violazione si riferisca a due o più lavoratori assunti in eccedenza.

In ogni caso non sono soggetti a limitazioni quantitative i contratti a termine conclusi nella fase di avvio di nuove attività per i periodi individuati dalla contrattazione collettiva, per le startup innovative, per sostituzione di personale assente, per attività stagionali, per spettacoli o programmi radiofonici o televisivi, nonché quelli conclusi con lavoratori di età superiore a 50 anni.
Tali limitazioni non si applicano nemmeno ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra enti di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica o di coordinamento e direzione della stessa.
La Circolare ministeriale n. 18/2014, per il personale ispettivo, ha fornito alcune indicazioni operative sulla nuova disciplina del contratto a termine, in vigore dal 20 maggio 2014.
Fermi restando comunque i diversi limiti quantitativi stabiliti dai vigenti contratti collettivi nazionali, per i datori che alla data di entrata in vigore del Decreto Legge n. 34/2014 occupino lavoratori a termine oltre al tetto legale del 20%, l’obbligo di adeguamento a tale soglia scatta a decorrere dal 2015, sempre che la contrattazione collettiva, anche aziendale, non fissi un limite percentuale o un termine più favorevoli. Per i rapporti di lavoro instaurati precedentemente al 21 marzo 2014, data di entrata in vigore del Decreto Legge n. 34/2014, che comportino il superamento del limite percentuale, non si applica la sanzione amministrativa di cui sopra.
L’Interpello n.30/2014 ha chiarito che anche la contrattazione di prossimità può prevedere una rimodulazione di tali limiti ma non una loro abolizione. Qualora il CCNL applicato non preveda alcun limite quantitativo, è introdotto l’obbligo per i datori di lavoro di rientrare nel limite percentuale del 20% entro il 31 dicembre 2014, pena l’impossibilità di stipulare nuovi contratti a termine.
Il lavoratore assunto contratto a tempo determinato per almeno 6 mesi, potrà far valere il diritto di precedenza sui nuovi contratti a termine stipulati dall’azienda per le stesse mansioni, nei 12 mesi successivi al termine del suo contratto. I periodi di astensione obbligatoria per le lavoratrici in congedo di maternità devono computarsi per la maturazione del diritto di precedenza. Le medesime lavoratrici avranno diritto di precedenza anche nelle assunzioni a termine per le stesse mansioni che avvengano nei 12 mesi successivi alla conclusione del loro contratto. Il diritto di precedenza vale anche per le successive assunzioni a termine stagionali.
Per finanziare la Nuova Assicurazione sociale per l’impiego (NASpI) è prevista un’aliquota contributiva aggiuntiva pari all’1,4% che verrà restituita al datore di lavoro in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato.
L’impugnazione stragiudiziale con la quale si intenda far valere la nullità del termine va presentata entro 120 giorni dalla cessazione del contratto, mentre il ricorso al Giudice del lavoro va proposto entro i successivi 180 giorni.
In caso di illegittimità del contratto a termine, l’indennità risarcitoria e la conversione del rapporto di lavoro in uno a tempo indeterminato, è da considerarsi onnicomprensiva di tutti i danni e pregiudizi retributivi e contributivi subiti dal lavoratore. L’indennità è pari a un importo che va dalle 2,5 alle 12 mensilità.

APPRENDISTATO

La formazione professionale è un elemento fondamentale per un lavoratore, perché permette di aggiornare ed ampliare le proprie competenze. Questa può essere inserita all’interno di un vero e proprio contratto di lavoro, la cui causa è lo scambio tra prestazione lavorativa e retribuzione a cui si aggiunge l’obbligo formativo a carico del datore di lavoro.
In quest’ultimo caso rientra il contratto di apprendistato che si configura come la principale tipologia contrattuale per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni, a seconda della tipologia di apprendistato.
L’elemento caratterizzante dell’apprendistato è rappresentato dal fatto che il datore di lavoro, nell’esecuzione dell’obbligazione posta a suo carico, è tenuto ad erogare, come corrispettivo della presentazione di lavoro, non solo la retribuzione, ma anche la formazione necessaria all’acquisizione delle competenze professionali o alla riqualificazione di una professionalità. Queste due obbligazioni hanno pari dignità e non sono tra loro alternative o accessorie.
Mentre l’apprendista ha la convenienza di imparare una professione, il datore di lavoro ha la possibilità di beneficiare di agevolazioni di tipo normativo, contributivo ed economico.
Il contratto di apprendistato è stato oggetto di diversi interventi legislativi: l’ultimo, in ordine temporale, è rappresentato dal Decreto Legislativo 81/2015 nel quale è confluito il precedente Testo Unico, arricchendolo con alcune novità. Quest’ultimo intervento è stato rivolto alla creazione di un sistema duale che integra istruzione, formazione e lavoro, soprattutto grazie alle due tipologie di apprendistato finalizzate all’ottenimento di un titolo di studio di livello secondario o terziario.
Il contratto di apprendistato è per definizione un contratto di lavoro a tempo indeterminato, rivolto ai ragazzi di età compresa fra i 15 e i 29 anni anche se per le regioni e le province autonome che abbiano definito un sistema di alternanza scuola-lavoro, la contrattazione collettiva può definire specifiche modalità di utilizzo di tale contratto, anche a tempo determinato, per le attività stagionali.
Il contratto di apprendistato prevede la forma scritta del contratto, del patto di prova e del piano formativo individuale (PFI) che può essere redatto anche in forma sintetica all’interno del contratto stesso, quindi contestualmente all’assunzione. Il PFI può essere definito anche in base a moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali.

Solo nel caso di apprendistato professionalizzante è previsto l’obbligo, solo per gli imprenditori con più di 50 dipendenti, di proseguire a tempo indeterminato il rapporto di lavoro con almeno il 20% degli apprendisti presenti in azienda, altrimenti non si possono assumere altri apprendisti.  Sono esclusi dal computo del triennio (che è da considerare "mobile"), i rapporti di lavoro in apprendistato cessati per mancato superamento della prova, per dimissioni e per giusta causa. Il datore di lavoro, nel rispetto dei limiti previsti dalla legge, può comunque assumere un ulteriore apprendista, anche se non ha confermato a tempo indeterminato il 20% dei contratti nell’ultimo triennio.
Esistono tre tipologie di contratti di apprendistato, diverse per finalità, soggetti destinatari e profili normativi:

apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione  secondaria  superiore  e  il  certificato  di specializzazione tecnica superiore;
apprendistato professionalizzante;
apprendistato di alta formazione e di ricerca.


La formazione integrata in un contratto di lavoro può essere utile, non solo per i giovani, ma anche per coloro che intendono acquisire nuove competenze per reinserirsi nel mondo di lavoro. Per questo, tramite l’apprendistato professionalizzante, è possibile assumere anche lavoratori in mobilità o percettori di un trattamento di disoccupazione. Data la specifica finalità di riqualificazione professionale non è previsto alcun limite di età per tale rapporto di apprendistato.
Il datore di lavoro – fino a quando non sarà completamente operativo il libretto formativo – può rilasciare una dichiarazione per l’accertamento e per la certificazione delle competenze e della formazione svolta dall’apprendista. 
  
Come accennato, il contratto di apprendistato determina numerose agevolazioni a favore degli imprenditori che decidono di assumere con questa tipologia contrattuale. L’inserimento in azienda tramite apprendistato è, infatti, sostenuto da notevoli incentivi economici (come la contribuzione agevolata pari al 10% della retribuzione per le aziende con più di 9 dipendenti o lo sgravio totale per quelle con meno di 9 dipendenti o la deducibilità delle spese e dei contributi dalla base imponibile Irap), economici (come la possibilità di un sotto) o normativi (come l’esclusione degli apprendisti dal computo dei dipendenti per determinati fini di leggi). 
Le diverse tipologie di apprendistato identificano degli obiettivi diversi ed il ruolo delle Regioni e delle Province Autonome è fondamentale sotto l’aspetto formativo, per questo le regolamentazioni sono eterogenee. Rimane, comunque, un quadro normativo generale individuato dal Decreto Legislativo 81/2015 che tutela la generalità dei lavoratori apprendisti e definisce il ruolo dei diversi attori istituzionali e delle imprese coinvolte.

Apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore Possono essere assunti con contratto di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e la specializzazione professionale, i soggetti della fascia d’età compresa tra i 15 e i 25 anni in tutti i settori di attività. La regolamentazione dei profili formativi di questa tipologia di apprendistato è rimessa alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano.

Questa tipologia di apprendistato si rivolge anche ai giovani che non hanno assolto l’obbligo scolastico che potranno così conseguire il diploma di istruzione secondaria superiore, ma anche agli iscritti a partire dal secondo anno degli istituti tecnici e professionali di istruzione secondaria superiore.  I datori di lavoro potranno, poi, prorogare fino ad un anno il contratto di apprendistato dei giovani qualificati e diplomati, per il consolidamento e l’acquisizione di ulteriori competenze tecnico-professionali e specialistiche, valide anche ai fini dell’acquisizione del certificato di specializzazione tecnica superiore o del diploma di maturità professionale all’esito del corso annuale integrativo di cui all’articolo 15, comma 6,del D. Lgs. n. 226/2006.
Il datore di lavoro che intende stipulare il contratto di apprendistato sottoscrive un protocollo con l’istituzione formativa a cui lo studente è iscritto, secondo uno schema definito con un prossimo decreto interministeriale.

Sotto il versante retributivo, il datore di lavoro è esonerato da ogni obbligo retributivo per le ore di formazione svolte nella istituzione formativa. Mentre per le ore di formazione a carico del datore di lavoro è riconosciuta al lavoratore una retribuzione pari al 10 per cento di quella che gli sarebbe dovuta.
La durata del periodo formativo varia in relazione alla qualifica al diploma da conseguire, in ogni caso non può essere superiore ai tre anni ovvero ai quattro nel caso di un diploma quadriennale regionale. Per i sistemi di formazione duale regionali (diploma di istruzione secondaria superiore e per la specializzazione professionale) è previsto, in ogni caso, che l’orario della formazione esterna all’azienda non debba superare il 60% dell’orario ordinamentale durante il secondo anno, ridotta al 50% per il terzo e quarto anno.
È prevista, infine, la possibilità per la contrattazione collettiva di prevedere la stipula di contratti di apprendistato anche a tempo determinato per le attività stagionali, a patto che le Regioni e le Province autonome abbiano attivato un sistema di alternanza scuola-lavoro.

Se le Regioni o Province Autonome non adotteranno una regolamentazione il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali interverrà disciplinando questa tipologia di apprendistato con propri provvedimenti.Apprendistato professionalizzanteÈ finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale ai fini contrattuali. Possono essere assunti, in tutti i settori di attività, pubblici e privati, i soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni. Per chi è in possesso di una qualifica professionale, il contratto può essere stipulato a partire dal diciassettesimo anno di età. 
L’apprendistato professionalizzante può essere, altresì, stipulato per le medesime finalità con soggetti percettori di strumento di sostegno al reddito legati alla disoccupazione (compresi i lavoratori in mobilità), senza vincoli anagrafici.
La Regione provvede a comunicare al datore di lavoro, entro 45 giorni dalla comunicazione dell’instaurazione del rapporto, le modalità di svolgimento dell’offerta formativa pubblica relativa alla formazione trasversale e di base, anche con riferimento alle sedi e al calendario delle attività previste, avvalendosi anche delle imprese e delle loro associazioni. Alla formazione per l’acquisizione di competenze di base e trasversali, che tiene conto dell’età, del titolo di studio e delle competenze dell’apprendista e che viene svolta per un monte ore complessivo di 120 ore di formazione per la durata del triennio, si affianca la formazione per l’acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche, in funzione del profilo professionale stabilito e secondo quanto stabilito dagli accordi interconfederali e dai contratti collettivi.

Le Regioni e le associazioni di categoria dei datori di lavoro possono definire, nell’ambito della bilateralità, le modalità per il riconoscimento della qualifica di maestro artigiano o di mestiere. La durata del contratto non può superare i tre anni, ovvero, i cinque per il settore dell’artigianato. Il contratto di apprendistato per la qualifica, una volta conseguito il titolo, potrà essere trasformato in contratto di apprendistato professionalizzante. In questo caso la durata massima complessiva dei due periodi di apprendistato non potrà eccedere quella individuata dalla contrattazione collettiva. Al termine del periodo formativo, nel caso di intendesse risolvere il rapporto di lavoro, si applica la disciplina dei licenziamenti individuali.Apprendistato di alta formazione e di ricerca Possono essere assunti, in tutti i settori di attività, i soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni. La finalità è il conseguimento di un titolo di studio universitario e di alta formazione, compresi il dottorato di ricerca, i diplomi rilasciati dagli istituti tecnici superiori (ITS), nonché il praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche.
Il datore di lavoro che intende stipulare un contratto, con tale tipologia di apprendistato, sottoscrive un protocollo con l’istituzione formativa a cui lo studente è iscritto, o con l’ente di ricerca secondo uno schema definito con un prossimo decreto interministeriale. Sono così stabilite l’entità e le modalità, anche temporali, della formazione a carico del datore di lavoro. Il protocollo stabilisce, altresì, la durata e le modalità, anche temporali, della formazione a carico del datore di lavoro e il numero dei crediti formativi riconoscibili a ciascuno studente per la formazione aziendale, i quali non potranno comunque essere più di  60.
Rispetto alla formazione, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, dovranno regolamentare la durata del periodo di apprendistato per attività di ricerca o per percorsi di alta formazione. In assenza delle regolamentazioni regionali, l’attivazione dell’apprendistato di alta formazione e di ricerca è demandata ad apposite convenzioni stipulate dai singoli datori di lavoro o dalle loro associazioni con le università, gli istituti tecnici superiori e le altre istituzioni formative o di ricerca.

Sotto il versante retributivo, il datore di lavoro è esonerato da ogni obbligo retributivo per le ore di formazione svolte nella istituzione formativa. Mentre per le ore di formazione a carico del datore di lavoro è riconosciuta al lavoratore una retribuzione pari al 10 per cento di quella che gli sarebbe dovuta.Tutele per gli apprendistiPer evitare un abuso e l’uso improprio del contratto di apprendistato, il legislatore ha introdotto maggiori tutele per gli apprendisti, in particolare, in termini di stabilità.
Con decorrenza dal 1° gennaio 2013, il datore di lavoro, anche per il tramite di un’agenzia di somministrazione di lavoro, può assumere 3 apprendisti ogni 2 dipendenti. Per i datori di lavoro con meno di 10 dipendenti, rimane il rapporto numerico di 1/1 e pertanto non si può superare il limite del 100% di assunzioni di apprendisti rispetto alle maestranze specializzate e qualificate. 

Il datore di lavoro senza dipendenti specializzati o qualificati oppure che ne abbia meno di 3, può comunque assumere fino a 3 apprendisti. Alle imprese artigiane si applicano i limiti dimensionali previsti dalla legge-quadro sull’artigianato.
I vincoli di stabilizzazione, invece, prevedono che debba essere confermati a tempo indeterminato un numero di apprendisti pari al 20% di quelli assunti nei 36 mesi precedenti nelle aziende con più di 50 dipendenti (salva diversa indicazione dei contratti collettivi). I vincoli di stabilizzazione sono previsti solo per le nuove assunzioni con contratto di apprendistato professionalizzante e non per le altre due tipologie di apprendistato.
È esclusa la possibilità di assumere apprendisti con un contratto di somministrazione a termine. È invece possibile somministrare a tempo indeterminato, in tutti i settori produttivi, uno o più lavoratori in apprendistato.
A tutela dell’apprendista, sono previste inoltre delle garanzie retributive: il divieto di retribuzione a cottimo e l’introduzione di limiti alla possibilità di inquadramento. È ammessa, infatti, la possibilità di sotto-inquadramento del lavoratore solo fino a due livelli inferiore rispetto alla qualifica spettante o, in alternativa, di stabilire una retribuzione percentualmente ridotta e gradualmente crescente con l’anzianità di servizio.
Agli apprendisti sono estese, sempre in un’ ottica di protezione del lavoratore, le tutele previdenziali in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, malattia, invalidità e vecchiaia, maternità e assegno familiare. L’apprendista rientra nell’ambito di applicazione della Nuova Assicurazione sociale per l’impiego. È previsto, come per la precedente ASpI, il contributo di finanziamento pari all’1,31% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Tale  percentuale è incrementata del contributo dello 0,30% destinato al finanziamento dei Fondi interprofessionali per la formazione continua.
Anche per gli apprendisti, in caso di interruzione del rapporto di lavoro per cause diverse dalle dimissioni, ivi compreso il recesso al termine del periodo formativo comunicato dal datore di lavoro, è dovuto a carico di quest’ultimo il contributo pari al 50% del trattamento mensile iniziale della NASpI, per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.
Che cosa succede se non vengono rispettati gli obblighi formativi? Scatta una sanzione economica in capo al datore di lavoro, che dovrà versare la differenza tra la contribuzione erogata e quella dovuta, con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100 per cento.


SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO

Il lavoro somministrato, ex lavoro interinale, è un contratto in base al quale l’impresa (utilizzatrice) può richiedere manodopera ad agenzie autorizzate (somministratori) iscritte in un apposito Albo tenuto presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
La somministrazione di lavoro coinvolge tre soggetti (agenzie, lavoratori, impresa), legati da due diverse forme contrattuali:

il contratto di somministrazione stipulato tra utilizzatore e somministratore che ha natura commerciale e può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato;
il contratto di lavoro stipulato tra somministratore e lavoratore che può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato.

Il contratto di somministrazione di manodopera esige la forma scritta, in assenza della quale il contratto è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze del soggetto che ne utilizza la prestazione lavorativa.

Il pagamento della retribuzione al lavoratore e il versamento dei contributi previdenziali e assicurativi sono a carico del somministratore, con il rimborso successivo da parte dell’utilizzatore.

Nel contratto di somministrazione a tempo determinato non è necessario di indicare la causale, ovvero specificare i motivi che giustificano l’adozione di tale forma di rapporto di lavoro, a decorrere dal 21 marzo 2014.
La data di inizio e la durata prevedibile della missione - che può essere prorogata con il consenso del lavoratore secondo quanto previsto dalla contrattazione collettiva - devono essere comunicate per iscritto al prestatore di lavoro da parte del somministratore all’atto della stipulazione del contratto di lavoro ovvero all’atto dell’invio presso l’utilizzatore.
I contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi hanno il compito di individuare, anche in misura non uniforme, i limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione di lavoro a tempo determinato.
Il periodo di lavoro svolto da dipendenti assunti con contratto di somministrazione a tempo determinato, stipulato successivamente al 18 luglio 2012, va computato nel calcolo dei 36 mesi previsti come limite massimo di durata di un contratto a tempo determinato, oltre il quale il contratto si trasforma a tempo indeterminato.
In virtù del principio di tutela del lavoratore rispetto a situazioni discriminatorie, i lavoratori in somministrazione hanno diritto a condizioni di base di lavoro e d’occupazione complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni svolte.

I lavoratori dipendenti dal somministratore sono informati dall’utilizzatore dei posti vacanti presso quest’ultimo, affinché possano aspirare, al pari dei dipendenti del medesimo utilizzatore, a ricoprire posti di lavoro a tempo indeterminato. Tali informazioni possono essere fornite mediante un avviso generale opportunamente affisso all’interno dei locali dell’utilizzatore presso il quale e sotto il cui controllo detti lavoratori prestano la loro opera. 

Il contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato (c.d. staff leasing) è stato recentemente modificato dal Decreto Legislativo n. 81/2015, che ha esteso tale istituto a qualsiasi ambito di attività e tipologia di lavoratori, con un solo limite di tipo quantitativo. Lo staff leasing, infatti, potrà essere utilizzato nel limite del 20% rispetto al numero di lavoratori assunti a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore alla data del 1° gennaio dell’anno in cui viene a stipularsi il contratto. Tale percentuale potrà essere oggetto di modifica da parte della contrattazione collettiva applicabile dall’utilizzatore.

Il lavoratore assunto a tempo indeterminato dall’agenzia di lavoro, ha diritto ad un’indennità di disponibilità per i periodi in cui non è in missione presso un utilizzatore. L’importo dell’indennità è determinato dalla contrattazione collettiva e non può comunque essere inferiore all’importo fissato con decreto del Ministero del lavoro.

Le Agenzie per il lavoro autorizzate alla somministrazione di lavoro sono tenute al versamento della contribuzione per il finanziamento del Fondo per la formazione e l’integrazione del reddito previsto dal D. Lgs. 276/2003 da calcolare in misura percentuale sulla retribuzione corrisposta al personale in somministrazione.


TEMPO PARZIALE PART-TIME

Non si tratta propriamente di un’altra tipologia contrattuale, bensì di un particolare regime dell’orario di lavoro, che può consentire al lavoratore di coniugare i tempi di vita e di lavoro.

Il part-time, infatti, implica un orario di lavoro inferiore a quello ordinario (full-time), individuato in 40 ore settimanali, ovvero un minor orario rispetto a quello previsto dalla contrattazione collettiva.

La disciplina di tale istituto è stata inclusa nel Decreto Legislativo 81/2015 che ha abrogato il Decreto Legislativo 61/2000.
Sebbene la norma non contenga più una specifica definizione, la riduzione dell’orario di lavoro può essere:

di tipo orizzontale, quando il dipendente lavora tutti i giorni ma meno ore rispetto all’orario normale giornaliero;
di tipo verticale, quando il dipendente lavora a tempo pieno ma solo alcuni giorni della settimana, del mese o dell’anno;
di tipo misto che contempla una combinazione delle due forme precedenti.

Il contratto di lavoro deve contenere la precisa determinazione degli orari ridotti in modo da permettere al lavoratore l’organizzazione e la gestione del proprio tempo. L’orario può però essere modificato tramite l’apposizione, in forma scritta nel contratto, di apposite clausole, la cui applicazione deve essere preavvisata al lavoratore:

le clausole flessibili prevedono la possibilità di modificare la collocazione temporale della prestazione di lavoro e possono essere contenute in tutte e tre le tipologie di contratto part-time;
le clausole elastiche prevedono la possibilità di aumentare il numero delle ore della prestazione di lavoro rispetto a quanto fissato originariamente e possono essere stipulate nei rapporti di part-time verticale o misto.

Il lavoro supplementare invece corrisponde alle prestazioni lavorative svolte oltre l’orario di lavoro concordato fra le parti nel contratto, anche su base giornaliera, settimanale o mensile. I contratti collettivi stabiliscono il numero massimo delle ore di lavoro supplementare effettuabili, nonché le conseguenze del suo superamento. Nei settori privi di una regolamentazione collettiva, è comunque possibile incrementare l’orario di lavoro per un massimo del 25% a fronte di una maggiorazione retributiva onnicomprensiva del 15%.
La contrattazione collettiva interviene anche stabilendo le condizioni e le modalità che consentono al datore di lavoro di modificare le clausole flessibile ed elastiche o quelle che permettono al lavoratore di chiedere la loro eliminazione o modifica.
Anche le clausole flessibili o elastiche possono essere utilizzate nei settori privi di una regolamentazione collettiva. Il loro inserimento può avvenire, in ogni caso, se sono rispettate tutte le seguenti condizioni:

è riconosciuta una maggiorazione retributiva onnicomprensiva del 15%;
la misura massima dell’aumento di orario non può eccedere del 25% per cento la normale prestazione annua a tempo parziale;
è sottoscritto un accordo – che ne disciplini l’applicazione - presso una sede protetta individuata nelle Commissioni di certificazione di cui all’articolo 76 del decreto legislativo n. 276 del 2003.

È comunque previsto il “diritto al ripensamento” ossia la possibilità di revocare il consenso all’apposizione di tali clausole qualora il lavoratore si trovi in determinate condizioni o sia un lavoratore studente.
Il legislatore ha individuato nel part-time uno degli strumenti utili per poter conciliare i tempi di vita e lavoro, in particolare per alcune categorie di lavoratori.
La trasformazione da full a part-time è sempre possibile se richiesta da malati con patologie cronico-degenerative od oncologici. I parenti dei malati cronico-degenerativi hanno un titolo di priorità nelle richieste di trasformazione. I soggetti che assistono i malati con patologie cronico degenerative od oncologici oppure i disabili gravi ai sensi dll’art. 3, comma 3, dellla L. n. 104/1992, oppure i genitori di figli conviventi di età non superiore a 13 anni, hanno un titolo di priorità nelle richieste di trasformazione.
La possibilità di trasformazione a part-time è poi possibile per i lavoratori genitori che lo chiedano in alternativa alla fruizione del congedo parentale.


LAVORO INTERMITTENTE A CHIAMATA

È un contratto che si può attivare qualora si presenti la necessità di utilizzare un lavoratore per prestazioni con una frequenza non predeterminabile, permettendo al datore di lavoro di servirsi dell’attività del lavoratore, chiamandolo all’occorrenza. Sono spesso assunti con questa tipologia contrattuale i lavoratori dello spettacolo, gli addetti al centralino, i guardiani, receptionist. 
È richiesta la forma scritta del contratto (anche se solo ai fini della prova della sussistenza del contratto e non per la sua validità) indicando i contenuti previsti per legge, tra cui la durata a tempo determinato o indeterminato.
La disciplina normativa è contenuta nel Decreto Legislativo di riordino delle tipologie contrattuali (D.lgs. 81/2015).
Il contratto di lavoro intermittente può essere stipulato:

per le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento allo svolgimenti di prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno;
nel caso di soggetti di età inferiore a 24 anni, oppure, di età superiore a 55 anni. Le prestazioni a chiamata si devono comunque concludere entro il compimento del 25esimo anno.

Qualora la prima ipotesi non sia attuata dalla contrattazione collettiva, le ipotesi di ricorso a questo tipo di contratto sono individuate da un apposito decreto ministeriale. Come confermato dall’Interpello n.10/2016, è ancora possibile riferirsi alle attività a carattere discontinuo della tabella allegata al R.D. n. 2657 del 1923, in relazione alla possibilità di ricorrere a prestazioni di lavoro intermittenti.
Il contratto di lavoro intermittente, come confermato anche dalla nuova disciplina raccolta nel Decreto Legislativo n.81/2015, è ammesso per ciascun lavoratore e con il medesimo datore di lavoro per un periodo complessivamente non superiore alle 400 giornate nell’arco di tre anni solari, ad eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo. Nel caso in cui sia superato questo periodo, il rapporto di lavoro intermittente si trasforma in un rapporto a tempo pieno e indeterminato. 
La Circolare MLPS n.35/2013 aveva già fornito le indicazioni operative riguardo al calcolo delle giornate.

A livello retributivo è poi prevista un’indennità di disponibilità nel caso in cui il lavoratore si impegni contrattualmente a rispondere alla chiamata. L’importo dell’indennità è determinato dai contratti collettivi ma non è inferiore all’importo minimo fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Come chiarito dal Ministero con interpello n.15/2015, il lavoratore iscritto nella lista di mobilità e assunto con contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato, senza obbligo di risposta alla chiamata, mantiene comunque l’iscrizione nella lista.
Il datore di lavoro deve effettuare, oltre alla comunicazione obbligatoria pre-assuntiva, una comunicazione amministrativa prima dell’inizio dello svolgimento della prestazione lavorativa svolta dal del medesimo lavoratore, o prima dell’inizio di più prestazioni di durata non superiore a trenta giorni svolte all’interno di una preventiva pianificazione.
Le modalità operative, attualmente in vigore, per effettuare tale comunicazione sono state definite dal Decreto Interministeriale del 27 marzo 2013 e dalla Circolare MLPS n.27/2013.


LAVORO A PROGETTO

Dal 25 giugno 2015, con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n.81/2015, non è più possibile stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa a progetto ai sensi degli artt-61-69bis del Decreto Legislativo 276/2003.
I contratti di questo tipo già stipulati a tale data, continueranno ad essere normati in base alla disciplina previgente.
A partire dal 1° gennaio 2016, le collaborazioni di tipo parasubordinato o nella forma del lavoro autonomo sono considerate come lavoro subordinato, qualora si concretizzino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative ed organizzate dal committente rispetto al luogo ed all’orario di lavoro.
Tale presunzione di subordinazione non opera nei seguenti casi:

per le collaborazioni individuate dalla contrattazione collettiva nazionale, siglata dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, anche per venire incontro a particolari esigenze produttive ed organizzative del settore di riferimento;
per le prestazioni intellettuali rese da soggetti iscritti ad Albi professionali;
per le attività prestate dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dei partecipanti ai collegi ed alle commissioni, esclusivamente in relazioni alle loro funzioni;
per le prestazioni rese a fini istituzionali nelle associazioni sportive e dilettantistiche riconosciute dal Coni.

Le parti possono richiedere alle commissioni di certificazione di attestare l’assenza dei requisiti ostativi suddetti. Il lavoratore, in questa fase, potrà farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.
A decorrere dall’1 gennaio 2016 i datori di lavoro che assumono coloro con cui hanno avuto un precedente rapporto di collaborazione, anche a progetto, o i titolari di partita IVA con cui hanno intrattenuto un rapporto di lavoro autonomo, godono del beneficio dell’ l’estinzione degli eventuali illeciti amministrativi, contributivi e fiscali legati all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro antecedenti.
 I datori di lavoro che decideranno di beneficiare di questa sanatoria dovranno sottoscrivere con il lavoratore dei verbali di conciliazione stragiudiziale - in una delle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, del codice civile, o presso le commissioni di certificazione – e non potranno recedere dal rapporto di lavoro nei dodici mesi successivi all’assunzione, salvo che non si configuri un licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo.

Nelle pubbliche amministrazioni il divieto di stipulare collaborazioni coordinate e continuative con le caratteristiche suddette scatterà il 1° gennaio 2017.


PARTITA IVA

Per Partite IVA si intendono generalmente i contratti di lavoro stipulati con prestatori d’opera, ossia i lavoratori autonomi che offrono, dietro corrispettivo e senza alcun vincolo di subordinazione nei confronti del committente, un servizio o la realizzazione di un bene materiale. Partite IVA, pertanto, è il regime fiscale cui fa riferimento questa tipologia contrattuale. Rientrano, ad esempio, in questa fattispecie: cooperatori, liberi professionisti, consulenti e altre figure professionali autonome.
Con l’obiettivo di contenere gli abusi e sfavorire quindi un uso improprio di questa tipologia contrattuale, sono stati adottati dal legislatore alcuni accorgimenti.
A partire dall’1 gennaio 2016, il Decreto Legislativo 81/2015 introduce un nuovo regime di secondo il quale le collaborazioni di tipo parasubordinato o nella forma del lavoro autonomo sono considerate come lavoro subordinato, qualora si concretizzino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, ripetitive ed organizzate dal committente rispetto al luogo ed all’orario di lavoro.
Tale presunzione assoluta non opera nei seguenti casi:

per le collaborazioni individuate dalla contrattazione collettiva nazionale, siglata dalle confederazioni  comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, anche per venire incontro a particolari esigenze del settore di riferimento;
per le prestazioni rese dagli iscritti ad Albi professionali;
per le attività prestate dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dei partecipanti ai collegi ed alle commissioni, esclusivamente in relazioni alle loro funzioni;
per le prestazioni rese a fini istituzionali nelle associazioni sportive e dilettantistiche riconosciute dal Coni;
prestazioni di cui sono certificati i requisiti presso le commissioni di certificazione istituite ai sensi dell’art 76 del Decreto Legislativo 276/2003.

A decorrere dall’1 gennaio 2016 i datori di lavoro che assumono coloro con cui hanno avuto un precedente rapporto di collaborazione, anche a progetto, o i titolari di partita IVA con cui hanno intrattenuto un rapporto di lavoro autonomo, godono del beneficio dell’estinzione degli eventuali illeciti amministrativi, contributivi e fiscali legati all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro antecedenti all’assunzione.
I datori di lavoro che decideranno di beneficiare di questa sanatoria dovranno sottoscrivere con il lavoratore dei verbali di conciliazione stragiudiziale - in una delle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, del codice civile, o presso le commissioni di certificazione – e non potranno recedere dal rapporto di lavoro nei dodici mesi successivi all’assunzione, salvo che non si configuri un licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo.
La L.92/2012 aveva introdotto tre criteri che modificavano la natura del rapporto da lavoro autonomo a subordinato, in mancanza di prova contraria da parte del committente. Tale disciplina trova applicazione per i rapporti già in essere al 25 giugno 2015 e fino al 31 dicembre 2015. 



LAVORO ACCESSORIO

Con lavoro accessorio si è inteso regolamentare quelle prestazioni lavorative non riconducibili alle tipologie contrattuali tipiche del lavoro subordinato o del lavoro autonomo, ma caratterizzate da un limite prettamente economico e dal pagamento attraverso dei voucher. 
Si tratta perlopiù di quelle attività lavorative che potrebbero collocarsi al di fuori della legalità, nell’ottica di una maggiore tutela del lavoratore.
Per contratto di lavoro accessorio si intende l’insieme di prestazioni lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a € 7.000 netti (€9.333 lordi) nel corso di un anno civile (dal 1° gennaio al 31 dicembre).
Qualora il committente sia un imprenditore o un professionista le prestazioni di lavoro accessorio rese a loro favore non possono eccedere il limite di € 2.000 nell’anno civile per ciascun lavoratore.
Il Decreto Legislativo n. 81/2015 ha confermato  il venire meno così della caratteristica dell’occasionalità - già eliminata dal Decreto Legge 76/2013 - e la possibilità che il lavoro accessorio possa essere usato per qualsiasi tipo di attività.  
Il lavoro accessorio si utilizza, quindi, in diversi ambiti: agricolo, commerciale, turistico, dei servizi, della Pubblica Amministrazione, rispettando comunque i vincoli di contenimento delle spese di personale previsti dalla normativa di settore, oppure, dai patti di stabilità interni.
I percettori di cassa integrazione salariale o di misure di sostegno del reddito, in qualsiasi settore produttivo, compresi gli Enti locali, potranno lavorare con contratto di lavoro accessorio per un compenso massimo di € 3.000 netti nell’anno civile. Tale limite per l’anno 2015, è da intendersi comprensivo anche delle prestazioni di lavoro accessorio già rese dal 1° gennaio 2015 al 24 giugno 2015. L’INPS è incaricato a detrarre la contribuzione figurativa dalle misure di sostegno, conguagliando con gli accrediti contributivi derivanti dal lavoro accessorio.
Per specifiche categorie di soggetti in stato di disabilità, detenzione, tossicodipendenza e per i beneficiari di ammortizzatori sociali è prevista la possibilità di ricorrere al lavoro accessorio, secondo una regolamentazione speciale che sarà individuata da un apposito decreto ministeriale.
Per il lavoratore, il compenso è esente da ogni imposizione fiscale e non incide sul suo stato di disoccupato o inoccupato.
I compensi percepiti con il lavoro accessorio concorrano alla determinazione del reddito utile per il rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno.
Il pagamento della prestazione occasionale di tipo accessorio avviene attraverso i cosiddetti voucher (o buoni lavoro) che garantiscono, oltre alla retribuzione, anche la copertura previdenziale presso l’INPS e quella assicurativa presso l’INAIL. 
Con la Circolare n.4 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 18 gennaio 2013, sono state fornite alcune indicazioni operative per il personale ispettivo sul lavoro accessorio.

Le aziende agricole che superano 7.000 € di fatturato l’anno possono ricorrere al lavoro accessorio soltanto per le attività di carattere stagionale e utilizzare soltanto tre tipologie di prestatori: i pensionati, gli studenti tra i 16 e i 25 anni nei periodi di vacanza, iscritti ad un ciclo scolastico o universitario e, anche per il 2014, i percettori di prestazioni a sostegno del reddito.
Nel settore agricolo, il lavoro accessorio si applica:

alle attività lavorative occasionali di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani under25. Per questi ultimi è necessario che l’attività sia compatibile con gli impegni scolastici, se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, mentre potranno essere svolte in qualunque periodo dell’anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi universitari;
alle attività agricole svolte a favore di piccoli produttori agricoli (aziende agricole cha hanno un volume d’affari non superiore a € 7.000) che non possono, tuttavia, essere svolte da soggetti iscritti l’anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.

In generale,  è vietato ricorrere al lavoro accessorio per l’esecuzione di appalti di opere o servizi. In un prossimo decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali da emanarsi entro il 25 dicembre 2015, saranno individuate specifiche deroghe.
Per i buoni già richiesti alla data del 25 giugno 2015 si applicheranno fino al 31 dicembre 2015 le previgenti disposizioni che prevedevano un ricorso al lavoro accessorio nel limite dei € 5000 (5060 netti) per la totalità dei committenti e di € 2.000 per ciascun singolo committente.
Infine, sarà prossimamente possibile l’invio della comunicazione di inizio prestazione in modalità telematica alla DTL competente. Come indicato nella Nota direttoriale del 25 giugno 2015, fino a quando non saranno definite le nuove procedure, le comunicazione dovranno essere effettuate tramite gli Istituti previdenziali con le attuali modalità.

Maggiori chiarimenti sul lavoro accessorio e sull’utilizzo dei voucher a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo n.81/2015 sono stati forniti dalla Circolare INPS n.149/2015.


I voucher o buoni lavoroI voucher o buoni lavoro costituiscono un particolare sistema per il pagamento delle prestazioni di lavoro di tipo accessorio che incorporano il compenso per la prestazione di lavoro, la copertura INAIL e il versamento dei contributi previdenziali all’INPS.

Il valore nominale di un buono lavoro è di 10 euro e tale importo è comprensivo della contribuzione (pari al 13%) a favore della gestione separata INPS, che viene accreditata sulla posizione individuale contributiva del prestatore, di quella in favore dell’INAIL per l’assicurazione contro gli infortuni (7%) e di un compenso al concessionario per la gestione del servizio, pari al 5%.

Il valore netto del voucher, cioè il corrispettivo netto della prestazione in favore del prestatore, è pari a 7,50 euro. E’, inoltre, disponibile un buono “multiplo”, del valore di 50 euro, equivalente a cinque buoni non separabili e un buono da 20 euro equivalente a due buoni non separabili. Il valore netto del buono “multiplo” da 50 euro, cioè il corrispettivo netto della prestazione in favore del lavoratore, è quindi pari a 37,50 euro; quello del buono da 20 euro è pari a 15 euro.
In attesa dell’emanazione del decreto previsto dal Decreto Legislativo n.81/2015 il valore nominale del buono orario è fissato ancora in 10  euro, fatto salvo nel settore agricolo dove è pari all’importo della retribuzione oraria delle prestazioni  di natura subordinata individuata dal contratto collettivo stipulato dalle associazioni  sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
La norma ha, inoltre, disciplinato che i buoni lavoro devono essere:
orari
numerati progressivamente
datati.

La Circolare n.4/2013 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali precisa che, pur se il compenso per lavoro accessorio è esente da imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato, può concorrere alla determinazione del reddito annuo necessario per ottenere il permesso di soggiorno, ricordando che tale reddito dovrà essere superiore al livello minimo previsto dalla legge per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria.
La circolare n.4 precisa inoltre che il criterio per la determinazione del compenso del lavoratore accessorio si misura sulla prestazione oraria per evitare che con un singolo voucher da 10 euro si possano retribuire più ore, mentre una singola ora di lavoro accessorio potrà essere retribuita anche con più voucher.
Il superamento del limite quantitativo relativo al compenso e quello relativo alla durata possono trasformare il contratto di lavoro accessorio in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Dal giorno successivo all’acquisto dei Buoni Lavoro e prima dell’inizio della prestazione, il datore di lavoro deve comunicare all’INPS il proprio codice fiscale/partita IVA, la tipologia di committente/di attività, i dati del prestatore (nome, cognome, codice fiscale), il luogo di lavoro, la data d’inizio e fine della prestazione (indicando i giorni o periodi di effettiva prestazione). La comunicazione può avvenire:

telefonando al Contact Center INPS-INAIL 803164 gratuito da rete fissa (o al numero 06164164 da rete mobile a pagamento secondo la tariffa del proprio gestore telefonico) collegandosi al sito www.inps.it e attivare la connessione alla pagina Lavoro Accessorio andando personalmente in una sede INPS.

L’operazione di comunicazione è indispensabile per l’attivazione del buono lavoro, la riscossione da parte del prestatore e il corretto accredito dei contributi e vale per l’assicurazione antiinfortunistica a fini INAIL; la mancata comunicazione comporta l’applicazione della ’maxisanzione’, di cui all’art. 4, comma 1, lett. a), della Legge n.183/2010.
Le modalità di riscossione e la loro tempistica variano rispetto al canale di acquisto. Di fatto, i prestatori potranno riscuotere i buoni lavoro entro due anni (per i voucher distribuiti dalle sedi INPS e per quelli acquistati presso uno sportello postale) o entro dodici mesi (per i voucher acquistati presso tabaccherie, banche popolari abilitate o tramite il servizio di Internet Banking del Gruppo Intesa San Paolo) dal giorno dell’emissione.
L’Allegato alla Circolare INPS n.149/2015 illustra la procedura per l’utilizzo telematico dei buoni lavoro a seguito del Decreto Legislativo n.81/2015.

 - Buoni cartacei
Il Decreto Legislativo n.81/2015 ha previsto per i
committenti imprenditori o liberi professionisti, l’obbligo di acquistare
esclusivamente con modalità telematiche. Possono pertanto accedere alla
modalità cartacea  i committenti non
imprenditori o professionisti.
L’INPS ha fornito un vademecum per la distribuzione dei Buoni cartacei presso le proprie sedi.
Chi li riceve deve convalidarli con la propria firma e recarsi presso un qualsiasi ufficio postale del territorio nazionale per riscuotere il corrispettivo in denaro. A questo punto il procedimento termina con il versamento, automatico, dei contributi sulle posizioni assicurative del lavoratore.
Se si tratta di un minorenne, deve presentare anche un’autorizzazione del genitore o di chi esercita la patria potestà con fotocopia del documento del genitore.
 - Buoni telematici
Nel caso di buoni telematici, per la loro riscossione bisogna prima accreditarsi sul sistema informatico dell’Inps. 
Lo si può fare attraverso una delle seguenti modalità:

sportelli Inps;
nel sito Inps, seguendo le indicazioni del Manuale fornito dall’Istituto;
contact center Inps/Inail (numero gratuito da numero fisso 803164 oppure da cellulare al n. 06/1641640606/16416406/164164, con tariffazione a carico dell’utenza chiamante).

Avvenuto l’accreditamento, Poste Italiane provvederà ad inviare al lavoratore la carta magnetica (INPS card) per accreditare e riscuotere i compensi versati dal committente attraverso i voucher, per ricevere materiale informativo e i moduli delle ricevute da utilizzare a fine del rapporto. 
La sottoscrizione dell’INPS card non è obbligatoria ai fini della riscossione del compenso, che potrà avvenire anche attraverso un bonifico domiciliato presso un qualsiasi ufficio postale.
- Buoni acquistati presso gli Uffici Postali
Presso tutti gli uffici postali sono in vendita i Buoni Lavoro del valore nominale di 10 €, o buoni multipli del valore nominale di 20 € e 50 €, disponibili in carnet di 25 buoni. Per l’acquisto è previsto il versamento all’ufficio postale della commissione di 2,50 € (+ IVA) per la singola operazione di emissione dei buoni lavoro, fino ad un massimo di 25 voucher (equivalenti ad un carnet).
Il datore di lavoro può acquistare i Buoni Lavoro (in contanti o tramite Postamat) presentando la tessera sanitaria per la lettura del codice fiscale. Il limite giornaliero di acquisto è pari a 5.000 € lordi.
La riscossione dei Buoni Lavoro può avvenire presso tutti gli uffici postali a partire dal secondo giorno successivo alla fine della prestazione di lavoro accessorio ed entro due anni dal giorno dell’emissione .
Il prestatore, al momento della riscossione presso l’ufficio postale, deve presentarsi con la propria Tessera Sanitaria - per la verifica del Codice Fiscale - e con un documento di identità valido. 
Effettuato il pagamento viene rilasciata un ricevuta riepilogativa di tutti i voucher che sono stati pagati al prestatore. Nei casi in cui il buono lavoro non risulti pagabile, il prestatore dovrà rivolgersi alla sede INPS.
 - Buoni acquistati nelle tabaccherie autorizzate
E’ possibile riscuotere i buoni lavoro anche presso i tabaccai aderenti all’iniziativa. Per l’elenco completo clicca qui.
L’operazione è possibile dal secondo giorno successivo alla fine della prestazione di lavoro accessorio fino a un anno dall’emissione dei voucher, per un importo massimo di 500 euro. Chi li riceve per riscuoterli deve presentarsi con la propria Tessera Sanitaria definitiva o con il tesserino del codice fiscale, per la verifica del Codice Fiscale. Effettuato il pagamento viene rilasciata un ricevuta riepilogativa di tutti i voucher che sono stati pagati.
 - Buoni acquistati agli sportelli bancari abilitati
L’Istituto centrale delle banche popolari italiane e l’INPS, a partire dal 2011, hanno siglato delle convenzione per l’erogazione dei voucher lavoro accessorio anche attraverso il canale bancario nazionale e, attualmente, il servizio di vendita e riscossione è attivo presso gli sportelli degli istituti bancari convenzionati
I Buoni Lavoro sono riscuotibili, presso gli sportelli delle banche abilitate, presentando il proprio codice fiscale e un documento valido di riconoscimento, a partire dalla ventiquattresima ora successiva al termine della prestazione di lavoro accessorio e fino ad un anno dall’emissione. Prima del pagamento, l’operatore di sportello controlla che i dati del lavoratore corrispondano a quanto dichiarato dal datore di lavoro all’INPS. A pagamento avvenuto viene rilasciata un ricevuta di pagamento a notifica dell’operazione svolta.
Nei casi in cui il buono lavoro non risulti pagabile, il prestatore deve rivolgersi alle sedi INPS.
- Buoni acquistati tramite il servizio di Internet banking Intesa San Paolo e riscossi presso i tabaccai 
Dal 6 giugno 2014, i buoni Lavoro si possono acquistare tramite il servizio di Internet banking delle Banche del gruppo Intesa Sanpaolo ed essere riscossi in contanti presso la rete delle tabaccherie convenzionate con Banca ITB.
Tramite questa modalità, il datore di lavoro può acquistare il numero dei buoni di cui ha bisogno - di qualsiasi importo fino a 500 € - e addebitarne il costo sul conto corrente, effettuando poi direttamente la stampa dei voucher.
I lavoratori potranno riscuotere i buoni in contanti presso le tabaccherie abilitate, per un importo massimo di 500 €, dal secondo giorno successivo alla fine della prestazione di lavoro accessorio ed entro un anno dal giorno dell’emissione. 
Il prestatore per riscuotere deve presentarsi esibendo - per la verifica del Codice Fiscale - la propria Tessera Sanitaria definitiva o il tesserino magnetico del codice fiscale rilasciato dall’Agenzia delle Entrate o la carta d’identità elettronica. Effettuato il pagamento viene rilasciata un ricevuta riepilogativa di tutti i voucher che sono stati pagati al prestatore. Nei casi in cui il buono lavoro non risulti pagabile, il prestatore deve rivolgersi alla sede INPS.


TIROCINIO FORMATIVO E STAGE

Il tirocinio formativo consiste in un periodo di formazione utile all’acquisizione di nuove competenze da utilizzare per inserirsi o reinserirsi nel mercato del lavoro e non è assimilabile in alcun modo ad un rapporto di lavoro subordinato.

La disciplina che regolamenta i tirocini è di competenza regionale e si distingue in base alla tipologia dei destinatari dell’azione formativa.
I tirocini curriculari - promossi dalle università o dalle scuole – sono svolti all’interno di un percorso formale di istruzione o formazione.
Mentre l’ambito più ampio dei tirocini extracurriculari comprende:

Tirocini formativi e di orientamento, svolti da soggetti che abbiano conseguito un titolo di studio entro e non oltre i 12 mesi (neodiplomati o neolaureati), finalizzati ad agevolare le scelte professionali e l’occupabilità dei giovani nella transizione scuola lavoro
Tirocini di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro, finalizzati a percorsi di recupero occupazionale a favore di inoccupati e disoccupati, anche in mobilità, nonché a beneficiari di ammortizzatori sociali sulla base di specifici accordi in attuazione di politiche attive del lavoro
Tirocini di orientamento e formazione oppure di inserimento/reinserimento in favore di disabili, persone svantaggiate e richiedenti asilo politico o titolari di protezione internazionale
Tirocini finalizzati allo svolgimento della pratica professionale e all’accesso alle professioni ordinistiche
Tirocini transnazionali realizzati nell’ambito di specifici programmi europei (LLP) tirocini per soggetti extracomunitari promossi all’interno delle quote di ingresso, tirocini estivi.
Tirocini per soggetti extracomunitari promossi all’interno delle quote di ingresso
Tirocini estivi.


Sulla base di quanto previsto dalla L. 92/2012, sono state elaborate dalla Conferenza Stato Regioni e Province autonome le Linee guida del 23 gennaio 2013 finalizzate a stabilire degli standard minimi uniformi in tutta Italia per i tirocini formativi e di orientamento, i tirocini di inserimento o reinserimento per categorie svantaggiate.
Fermo restando la possibilità per le Regioni e le Province Autonome di prevedere una disciplina migliorativa, è previsto il riconoscimento di un’indennità risarcitoria minima per le attività svolte dal tirocinante, in assenza del quale è prevista la sanzione amministrativa di una ammenda di importo da 1.000 a 6.000 euro.

La Legge n.99/2013, di conversione del D.L. 76/2013, stabilisce che i datori di lavoro pubblici e privati, con sedi in più regioni, possono fare riferimento alla sola normativa della regione dove è ubicata la sede legale e possono accentrare le comunicazioni obbligatorie presso il Servizio informatico nel cui ambito territoriale è ubicata la sede legale. La Circolare ministeriale n. 35/2013 ha precisato che tale previsione costituisce una facoltà, potendo il datore di lavoro scegliere di applicare la disciplina del luogo di svolgimento del tirocinio, rammentando che sono esclusi dall’obbligo di comunicazione i tirocini curriculari.

É stato siglato il 5 agosto 2014 dalla Conferenza Stato Regioni ed Unificata il testo dell’Accordo tra Governo, Stato, Regioni e Province autonome che recepisce le Linee guida in materia di tirocini per persone straniere residenti all’estero, ossia quelli attivati con cittadini extracomunitari residenti all’estero, funzionali al completamento del percorso di formazione iniziato nel proprio Paese. Le Linee guida contengono i fac-simile della convenzione tra soggetto ospitante e promotore, il progetto formativo e la richiesta di visto per quest’ultimo. Per quanto non espressamente citato nell’Accordo del 5 agosto 2014,  comprese le limitazioni numeriche, si rinvia alle Linee guida del 24 gennaio 2013 sui tirocini e le relative regolamentazioni regionali di attuazione. 

CONTRATTO DI ARRUOLAMENTO

La Convenzione o Contratto di arruolamento è un particolare rapporto di lavoro stipulato tra un armatore o proprietario di imbarcazione e il personale marittimo.

Per personale marittimo si intende la gente di mare (ovvero chi si imbarca per lavorare a qualsiasi titolo e per qualsiasi mansione), gli addetti ai servizi portuali, gli impiegati nei cantieri navali.

La natura particolare di questo contratto di lavoro risiede nel fatto che il rapporto è disciplinato da una normativa speciale: Codice della navigazione e Regolamento sul collocamento (RD 327/1942 aggiornato alla L. 25/2010 e D.P.R. 231/2006), anche se è la Convenzione internazionale OIL del 2006 a disciplinare i principi e i diritti minimi sul lavoro marittimo.
Il contratto di arruolamento può essere a tempo indeterminato, a tempo determinato oppure per uno o più viaggi.

Sia il contratto a tempo determinato che quello per uno o più viaggi non possono superare la durata di un anno altrimenti sono trasformati di diritto a tempo indeterminato. L’interpello del Ministero del lavoro e delle politiche
sociali 24/2014 ha chiarito
come per i contratti d’arruolamento a termine possa trovare applicazione la disciplina
contemplata dal Codice della Navigazione, pur non contenendo i limiti
percentuali ed il numero massimo di proroghe previste dal D.lgs. 368/2001.



Oltre ad avere un regime speciale per quanto riguarda il collocamento (infatti per tale servizio sono competenti le capitanerie di porto, in luogo dei centri per l’impiego), il datore di lavoro marittimo è tenuto a registrare la gente di mare sul ruolo di equipaggio o sulla licenza. Deve inoltre tenere un Albo di bordo in luogo accessibile all’equipaggio con l’indicazione delle norme di legge e di regolamento relative all’arruolamento, e delle norme della contrattazione collettiva e ogni altra norma o disposizione applicabile all’equipaggio.

Il personale è assunto per i servizi e le mansioni di cui al contratto di arruolamento anche se per i casi di necessità può essere adibito anche ad altre mansioni.
La retribuzione può essere a tempo, a viaggio o in partecipazione ai proventi del nolo o del viaggio dovuti all’armatore.
Anche la cessazione del contratto ha un regime particolare, in quanto il rapporto di lavoro può risolversi per diverse ragioni:

riconducibili all’armatore (perdita totale o innavigabilità della nave per naufragio, perdita della nazionalità della nave, sequestro della nave, o anche per la mera facoltà riconosciuta all’armatore di risolvere il contratto di arruolamento, fatti salvi i diritti spettanti all’arruolato);
 
riconducibili all’arruolato (sbarco dell’arrivo lato per cattivo trattamento riservatogli dall’armatore, sbarco dell’arruolato per motivi di autorità o per motivi di salute).

 
DISTACCO DEL LAVORATORE

Il distacco del lavoratore, disciplinato dall’art. 30 del D. Lgs. 276/03, consiste in un provvedimento organizzativo con il quale il datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.

Il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo del lavoratore e, in termini generali, non è subordinato all’indicazione di specifiche ragioni o al consenso del lavoratore distaccato. Tuttavia occorre considerare che:

il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato;
il distacco che comporti un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore é adibito può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.

La legge 9 agosto 2013, n. 99, di conversione del D.L. 76/2013, ha inserito una particolar previsione relativa al distacco di personale che avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validità ai sensi del D.L. 5/2009, convertito in legge 9 aprile 2009, n. 33.
In questa ipotesi, come precisato anche dal Ministero del lavoro nella propria Circolare ministeriale del 29 agosto 2013, n. 35, l’interesse al distacco da parte del distaccante non deve essere accertato ma si presume connesso e pertanto sorge automaticamente, proprio in forza dell’operare della rete.
I requisiti di legittimità del distacco ai sensi dell’art. 30 D. Lgs. 276/2003, così come precisato nella Circolare del Ministero del Lavoro del 15 gennaio 2004 n. 3 e da ultimo con la risposta a Interpello 1/2011, sono:

l’interesse del distaccante: come precisato dal Ministero del lavoro con Circolare n. 28/2005, deve essere specifico, rilevante, concreto e persistente, da accertare caso per caso, in base alla natura dell’attività espletata e non semplicemente in relazione all’oggetto sociale dell’impresa. Può trattarsi di qualsiasi interesse produttivo del distaccante, anche di carattere non economico, che tuttavia non può mai coincidere con l’interesse lucrativo connesso alla mera somministrazione di lavoro;
la temporaneità del distacco: il distacco deve essere necessariamente temporaneo. Tale previsione non incide sulla durata del distacco, breve o lunga che sia, ma sul presupposto che, qualunque sia la durata del distacco, non può trattarsi di passaggio definitivo;
lo svolgimento di una determinata attività lavorativa: il lavoratore distaccato deve essere adibito ad attività specifiche e funzionali al soddisfacimento dell’interesse proprio del distaccante. Ne consegue che il provvedimento di distacco non può risolversi in una messa a disposizione del proprio personale in maniera generica e, quindi, senza predeterminazione di mansioni.

In assenza di tali requisiti di legittimità, il lavoratore interessato può fare ricorso in giudizio per la costituzione di un rapporto di lavoro con il soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, cioè il datore di lavoro presso cui è stato distaccato.
Gli oneri relativi al trattamento economico e normativo del lavoratore rimangono a carico dell’effettivo datore di lavoro, tuttavia appare oramai pacificamente ammessa la possibilità di un “ribaltamento” dei costi sostenuti per il lavoratore dal distaccante sul distaccatario. Il rimborso al distaccante della spesa del trattamento economico non ha alcuna rilevanza ai fini della qualificazione del distacco genuino nelle ipotesi in cui non ecceda il costo sostenuto dal distaccante per il lavoratore, in caso contrario, invece, possono porsi delle criticità sia dal punto di vista giuslavoristico che fiscale.
Il Ministero del lavoro, con l’interpello n. 1/2011, ha altresì precisato che il distacco è ammissibile anche quando lo svolgimento della prestazione lavorativa avvenga in un luogo diverso dalla sede del distaccatario. Infatti, a tal fine, viene rimarcato come nonostante la dislocazione del lavoratore presso la sede del distaccatario rappresenti l’ipotesi per così dire ordinaria, tale requisito non costituisce un elemento indispensabile per il corretto utilizzo dell’istituto.

AdempimentiIl distacco del lavoratore è oggetto di comunicazione obbligatoria on line (Decreto Interministeriale 30 ottobre 2007). Deve essere comunicato dal datore di lavoro distaccante utilizzando il Modulo Unilav – quadro Trasformazione - entro 5 giorni dal verificarsi dell’evento, come indicato nella Circolare del Ministero del Lavoro 21 dicembre 2007 n.8371. La comunicazione deve essere inviata anche se trattasi di distacco parziale o distacco presso azienda estera.

CONTRATTO DI RETE

Il contratto di rete è un nuovo istituto giuridico mediante il quale più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacita` innovativa e la propria competitività sul mercato, impegnandosi a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica.

Introdotto nel sistema giuridico italiano dal decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito in legge 9 aprile 2009, n. 33 (Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi), è stato oggetto di ulteriori modifiche (L. 134/2012 e Legge n. 221/2012, di conversione del Decreto Legge n.179/2012), che ne hanno integrato e completato la disciplina.


















































































I criteri presuntivi della Legge 92/2012 I criteri presuntivi introdotti dalla Legge
92/2012, provvisoriamente in vigore, sono:

una
durata superiore agli 8 mesi annui, nel corso di due anni solari
consecutivi;
la
riconducibilità ad un soggetto o centro di imputazione di interessi di un
corrispettivo superiore all’80% del reddito prodotto dal professionista in
due anni solari consecutivi;
una
postazione di lavoro presso una delle sedi del committente.

Se il rapporto di lavoro presenta almeno due dei tre
presupposti previsti, si ritiene che sussista una collaborazione
coordinata e continuativa che, in assenza di un progetto specifico, si
trasforma in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. 
La L. 92/2012 prevede che per escludere tali criteri
presuntivi e quindi per considerare come genuina la collaborazione a
partita IVA abbia un compenso minimo di 18 mila euro lordi annui per il 2012,
elevate competenze professionali del collaboratore o la sua iscrizione ad un
Albo o ordine professionale. In presenza di tali presupposti la collaborazione viene
considerata realmente autonoma, impedendo quindi che scatti la trasformazione
del contratto.

Con l’emanazione del Decreto ministeriale del 20 dicembre 2012 sono stati ulteriormente chiariti i
requisiti per la non applicazione dei criteri presuntivi sopra indicati. La
presunzione non opera, infatti, quando le prestazioni lavorative del
professionista richiedono l’iscrizione ad un ordine o collegio professionale,
ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati
che sono esclusivamente quelli tenuti o controllati da una Amministrazione
Pubblica oppure da federazioni sportive, in relazioni ai quali l’iscrizione è
subordinata al superamento di un esame di stato o comunque alla necessaria
valutazione, da parte di specifico organo, dei presupposti legittimanti lo
svolgimento dell’attività. Al tale decreto ministeriale è allegato un elenco
delle professioni ed attività professionali che già prevedono tale requisito.
La Circolare n. 32 del 27dicembre 2012 del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali  ha,
invece, fornito al personale ispettivo le indicazioni operative per
individuare esattamente la genuinità delle prestazioni professionali rese
dai titolari di posizione fiscale ai fini IVA.

La circolare ha precisato che la verifica sull’operatività dei primi due
criteri presuntivi che fanno riferimento al biennio consecutivo non
può che esser fatta a posteriori, rispetto ai 12 mesi in
cui è stata resa la prestazione professionale. La durata superiore
agli 8 mesi annui per due anni consecutivi viene riferita all’arco temporale
dal 1° gennaio al 31 dicembre di ciascun anno. Viene quindi specificato il
calcolo del parametro reddituale (€ 18.662,50) nel corso del biennio,
precisando che la norma di legge fa riferimento alla fatturazione del compenso,
prescindendo quindi dall’effettivo incasso del pagamento da parte del
professionista. La circolare richiama inoltre il Decreto ministeriale del 20
dicembre 2012 in tema di specifici requisiti e condizioni che devono avere le
attività professionali per poter escludere l’operatività della
presunzione: la circolare precisa che il possesso le competenze teoriche
di grado elevato o le capacità tecnico-pratiche acquisite mediante
rilevanti esperienze e il requisito del reddito annuo da lavoro autonomo si applicano
contestualmente.



















Co.co.pro. fino al 24 giugno 2015 Il cosiddetto co.co.pro. costituisce quindi una forma di lavoro non subordinato per la cui instaurazione è tassativamente necessaria la forma scritta, secondo quanto chiarito a seguito dell’entrata in vigore della L.99/2013, di conversione del D.L. 76/2013; in assenza di un progetto specifico, il rapporto sarà considerato un rapporto di lavoro subordinato, salvo la prova contraria fornita dal committente. Tale legge ha altresì previsto che, se l’oggetto del contratto è un’attività scientifica, che necessita di ampliamento di contenuti o di tempo, il progetto si può prorogare automaticamente. 

Sono sottratte alla disciplina delle co.co.pro. le prestazioni intellettuali professionali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione ad albi o ordini professionali, nonché le collaborazioni coordinate e continuative utilizzate a fini istituzionali a favore di associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate a federazioni sportive nazionali, quelle rese da soggetti che percepiscono la pensione di vecchiaia e per i componenti di organi di governance delle società.
Sono escluse dal campo di applicazione della disciplina del co.co.pro. le prestazioni lavorative occasionali di durata non superiori alle 30 giornate nel corso dell’anno solare (ovvero 240 ore nell’anno solare nell’ambito dei servizi di cura ed assistenza alla persona), definendosi così il concetto di collaborazione occasionale.
La L. 92/2012 ha introdotto sostanziali novità relative a questo contratto, con l’intento di contrastare l’uso improprio e strumentale degli elementi di flessibilità che sono stati progressivamente introdotti nell’ordinamento. Così ha previsto disincentivi normativi e contributivi, nonché una definizione più stringente del progetto o dei progetti che costituiscono l’oggetto della collaborazione coordinata e continuativa:

è stato abolito dal concetto di progetto il riferimento al programma di lavoro o alla fase di esso;
il progetto deve essere funzionalmente connesso al conseguimento di un risultato finale e non può più consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale dell’impresa committente, né in compiti meramente esecutivi e ripetitivi, secondo quanto chiarito a seguito dell’entrata in vigore della L.99/2013, di conversione del D.L. 76/2013;
quando l’attività del collaboratore a progetto sia analoga a quella svolta da lavoratori subordinati, salvo prova contraria del committente, la collaborazione viene considerata un rapporto di lavoro subordinato fin dall’inizio.

A questo proposito, si precisa che il contratto a progetto non prevede un orario rigido o un monte ore predeterminato ma l’assolvimento del progetto nei tempi e modi indicati al momento della stipula del contratto.

Le parti possono risolvere per giusta causa la collaborazione prima della scadenza del termine, mentre il committente potrà recedere anche quando il collaboratore non risulti professionalmente idoneo per realizzare il progetto, così come il collaboratore potrà recedere con preavviso nel caso in cui tale facoltà sia prevista nel contratto. La L. 99/2013, di conversione del D.L. 76/2013, ha esteso anche alle collaborazioni coordinate e continuative, anche a progetto, la disciplina della convalida delle risoluzioni consensuali e delle dimissioni.
Il compenso del collaboratore, proporzionato alla qualità e quantità di lavoro prestato, non potrà essere inferiore ai minimi contrattuali previsti per mansioni equiparabili a quelle svolte dal collaboratore e calcolate sulla media dei contratti collettivi di riferimento.
Le aliquote contributive sui contratti a progetto aumentano progressivamente di un punto percentuale a partire dal 2013 e fino al 2018. Per gli iscritti alla Gestione separata Inps nel 2013, la contribuzione rimane al 27% e raggiungerà il 33% nel 2018. Per gli iscritti ad altra gestione, la contribuzione già dal 2013 aumenta al 20% e raggiungerà il 24% a partire dal 2016.
La L. 99/2013, di conversione del D.L. 76/2013, interviene anche sul Decreto sviluppo (convertito nella L. 134/2012) che aveva specificato che il ricorso al contratto a progetto è ammissibile anche per le “attività di vendita diretta di beni e di servizi, realizzate attraverso call center outbound, purché sia definito un corrispettivo congruo dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento", chiarendo che il ricorso al lavoro a progetto è ammesso sia per le attività di vendita diretta di beni e servizi sia per le attività di servizi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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